Commedia degli equivoci (certo, meno chirurgicamente introspettiva di quelle di un Lubitsch o di un Hawks), divertissement a tratti raffinatamente esilarante (certo, quasi obbligatoriamente occhieggiante dalle parti di Woody Allen), riflessione romantica piena di grazia, divagazione sentimentale con il coraggio ormai insolito di giocarla fino in fondo), PRIME è uno di quei film che non dovrebbero lasciarsi sfuggire coloro che pretendono di recarsi al cinema soltanto per alleggerirsi il cuore oltre che la mente. E che sostengono di non trovarne mai fra quelli consigliati dai critici seriosi e un po' sadomaso.

Diciamolo, allora. Che se il film di Ben Younger (trentenne al suo secondo film dopo un BOILER ROOM del 2000 che bisognerebbe rivedere) non è di una originalità sconvolgente, se i suoi trucchi sono scoperti (ma mai scontati in quanto artificiosi) è proprio da questa facilità (mai banale, mai volgare) che trae la sua bella freschezza, uno charme confortante in un'epoca di effetti calcolati al computer. E pure, nel profondo di tanta leggerezza, qualche tema non proprio disprezzabile sul quale far riflettere. Perché privarsi allora, viene da chiedersi, del piacere di seguire nella solita New York pronta ad aprire ogni suo angolo alle seduzioni della cinepresa, la felicità di quegli interpreti che si lasciano andare al proprio, di piacere?